mercoledì, novembre 26, 2014

Il capospalla di Jack


Quando torno a casa mi piace fermarmi e dare un'occhiata alle vetrine dei negozi. Mi piace essere informato sulle mode che vanno e che vengono. Ho scoperto che da un po' di tempo i vari giacconi, cappotti, caban, parka ecc. vengono genericamente indicati con il termine "capospalla" (lo scrivo adesso così non rispondo poi alla domanda che chiede cosa sia questo capospalla). Ebbene tra tutti i capospalla che ho visto quello che mi piace davvero costa 1026 euro. Non me lo posso permetter e anche se me lo potessi permettere non me lo comprerei mai perché mi sembra immorale che un impermeabile con cappuccio (perché alla fine di questo si tratta) costi così tanto. Fine del pistolotto bacchettone. E comunque sull'autobus guardavo i capospalla delle persone a bordo. I ragazzi hanno una specie di eskimo, che non è proprio un eskimo perché sprovvisti di cintura (che comunque ai tempi tutti gettavano via). Certi signori hanno il montgomery e la maggior parte quella cosa difficile da capire che genericamente viene indicato come "giaccone pesante". Il rollio dei sanpietrini di via santo Stefano mi hanno venrie in mente le descrizioni di tanti personaggi di romanzi d'avventura, o fantasy in cui il protagonista indossa sempre "una vecchia giacca" che può essere di pelle/velluto/fustagno/daino/lana scozzese o irlandese e mai d'orbace che sarebbe anche più resistente. Non capita mai che il protagonista sfoggi una giacca nuova di zecca. Allora a mente ho scritto questo incipit che mi piacerebbe leggere da qualche parte:
"Jack si osservava allo specchio chiuso nella sua giacca ipetecnologica che aveva appena comprato. Era fatta di un tessuto leggerissimo eppure resistentissimo alle escursioni climatiche e all'aggressione di agenti esterni. Il gran numero di tasche a disposizione, tutte assolutamente ergonomiche e molte delle quali anche messe in una posizione strategia, quasi invisibile, gli consentiva di uscire senza portarsi dietro l'impiccio di borse e zainetti. Li odiava. Jack se ne andava in giro per casa con la sua bella giacca nuova per iniziare a entrarci in confidenza. Si sentiva molto soddisfatto dell'acquisto, che tra le altre cose gli era costato parecchio, un investimento non indifferente. Poi quando ricevette il messaggio, quello che aspettava, decise di ignorarlo. A pensarci bene non aveva proprio voglia di uscire,d di affrontare la pioggia battente e di infilarsi nel bosco in mezzo ai rovi e agli spuntoni di ossidiana taglientissimi. Nessuno aveva ancora capito come avessero fatto ad affiorare nel bosco e Jack decise di non approfondire. Non gliene fregava niente dell'anomalia dell'ossidiana, del bosco e dell'escursione. Si accomodò in poltrona dopo essersi versato un bicchierino di brandy e accese la Tv con il telecomando. Sul suo vlto comparve un'espressione rilassata, quasi soddisfatta come non gli capitava da tempo. Si tirò su la zip quasi per proteggersi meglio. Gli piaceva proprio la sua giacca nuova. Jack non sapeva che quella sua scelta istintiva, quasi una sorta di ribellione, avrebbe determinato in maniera irreversbile i futuro della sua vita." Ecco un incipit più o meno così, magari con un paio di revisioni e non con "buona la prima" come adesso. Ma più o meno così.

qui sotto illustrazione di Settecappotti

martedì, novembre 04, 2014

L'illusione della terraferma. Iniziare un romanzo

A pensarci bene non mi ricordo più come e quando mi è venuta l'idea di raccontare una storia ambientata durante il fascismo in Sardegna poco dopo la fondazione della città di Carbonia, creata apposta per sistemare i minatori, sardi ma anche di tante altre parti d'Ialia. Non c'è mai stata una scintilla vera e propria, è stato come se la storia ci fosse sempre stata da qualche parte nella mia mente. Aspettava solo di essere raccontata. Mancavano le opportunità e la volontà. Vedevo le difficoltà, non mi sentivo adatto per varie ragioni legate forse al mio stile grafico, alle ricerche storiche, che  almeno in apparenza si trattasse di un thriller. Perché alla fine L'illusione della terraferma è un thriller. Anzi un giallo come si è sempre detto da queste parti. Alla fine di tutta la storia ci saranno i colpevoli.
Questo romanzo grafico interpreta il mio terzo ritorno narrativo in Sardegna. la prima volta era stato parecchi anni fa su Mondo Naif con Loving the Alien ambientata a Cagliari durante l'austerity per la crisi petrolifera della prima metà degli anni Settanta, periodo in cui era scoppiata la moda degli avvistamenti UFO, poi l'anno scorso era uscito, per la collana Storia della Sardegna a Fumetti edita dall'Unione sarda, un altro romanzo, questa volta breve, forse una novella, che era ambientato sempre nel Sulcis poco dopo l'eccidio di Buggerru. Il titolo che gli avevo dato era Metallo Malfidano, ma poi per qualche esigenza editoriale era uscito con un classico e forse un po' pleonastico L'eccidio di Buggerru. Questi incontri con la Sardegna e con la mia sardità, a tratti labile, a tratti distante, a tratti incontenibile, sono cresciuti con il tempo. Confrontarmi con le mie origini, cercare di capirle, cercare magari di raccontare delle storie. Non è facile, tutt'altro. Forse un momento decisivo è stato al festival di Gavoi di qualche anno fa a cui ero ospite. Una notte, dopo una cena sarda con vino denso e fil'e ferru mi sono trovato coinvolto a ballare il ballo sardo in una qualche piazzetta. Ero goffo, terribilmente goffo, però mi divertivo e passo dopo passo riprendevo i fili con una memoria mai avuta ma di cui avevo comunque delle tracce in dotazione al momento della mia confezione. Il ballo di un attimo che ha messo di nuovo in moto modalità che mi erano ignote. Ho iniziato a pensare di raccontare di luoghi e di persone che mi erano quasi sconosciuti. Da sardo di città migrato da giovane sono molto ignorante riguardo al territorio. Turista in caso. Meglio però essere viaggiatori in casa.
L'illusione della terraferma è anche il mio viaggio in luoghi legati a mia madre. Per tanti anni è stata insegnante elementare in diverse scuole del Sulcis, da Narcao a Iglesias per esempio. Di Iglesias ricorda i suoi anni più belli quando le avevano assegnato la sede di Campo Romano, quartiere operaio popolato da minatori. Gente semplice e onesta con cui si era creato da subito un legame sincero. Ogni tanto mi portava con sé, prendevamo il treno, una littorina di un brutto colore, una specie di marrone ruggine da impermeabile e mi accomodavo con gli altri bambini nei banchi di legno con la ribaltina graffiata e incisa da temperini che si erano alternati da generazioni. Ricordi lontani che in qualche modo ora mentre sto lavorando al libro ritornano.
Un viaggio su due binari paralleli che s'incrociano ai passaggi a livello. Storie diverse in un unico flusso mentale.  Un romanzo e una ricognizione della memoria che poi magari diventerà altro romanzo.
Per ora basta questo.
A seguire gli aggiornamenti, gli appunti di lavoro mentre questo prende forma, cresce. Ci saranno gli entusiasmi e i momenti di stallo, le difficoltà e le perplessità. Certe di queste le racconterò qui sperando in un confronto sincero con chi avrà l'interesse a seguirmi.
Buona lettura e benvenuti in questo romanzo.