A fatica cerco di ricordarmi la sensazione delle scarpe che affondano nella neve e raggiungono la sabbia della spiaggia di sotto. A Cagliari ho visto la neve per due volte. La prima volta è scesa quand’ero piccolo, molto piccolo. Dopo parecchi anni quel ricordo è diventata anche la mia storia di esordio nel mondo del fumetto. “Quando invocai l’unicorno” è uscita in una freddissima giornata di novembre su Tempi Supplementari. Mi ero trasferito a Bologna e la gioia di vedermi stampato a colori fu immensa anche se il mio nome era stato trasfigurato in un inquietante Otto Gros.
La seconda nevicata che mi ricordo venne giù più o meno una ventina d’anni dopo. Nel gennaio dell’85. quella volta avevo camminato sulla neve dappertutto, anche sulla spiaggia del Poetto. Non mi ricordo però come le scarpe affondavano nella neve.
Sto pensando a una storia che parte proprio da questa traversata. Sullo sfondo
Intorno cade ancora un po’ di neve ma il peggio (o il bello) è già passato.
Dietro di lui ogni tanto compaiono altri due personaggi. Due tipi piuttosto bizzarri. Il piccoletto sembra un cane, ha gli occhi tirati e un ghigno perenne. È fatto di carne ma le curve, le pieghe, l’andatura scaturisce da un vecchio Popeye di Segar. Poco più indietro con un incedere caracollante comico e drammatico al contempo c’è l’altro. È alto, un colosso, più colosso di Carnera, un cugino di Dick Fulmine. Veste quasi come lui, un maglione a collo alto con due bretelle in evidenza. Il colosso ha due baffetti che sembrano sbagliati in una faccia poco furba come la sua.
I due non parlano e si limitano a seguire a breve distanza il tipo là davanti che continua ad arrancare. Ogni tanto si al liscia i capelli e fa gesti di stizza verso quelli là che si ostinano a seguirlo.
Vorrebbe stare da solo lui.
Invece avanzano. Tutti e tre avanzano.
È il gennaio di un anno freddissimo. Un anno che inizia con il portone del manicomio che si chiude alle spalle e che finirà con le ruspe implacabili che spazzano via i colori vivaci dei casotti.
Sarà l’inizio della fine della spiaggia, l’inizio dell’erosione inesorabile.
Ma allora quel tipo con i capelli rockabilly che avanza sotto la neve se ne sarà andato via da un pezzo.
È di quei mesi là compresi tra il freddo della spiaggia e l’estate che non arriva mai che voglio parlare.
Avevo poco più di vent’anni. Suonavo ancora e mi preparavo a conquistare il mondo con un nome nuovo di zecca:
Otto Gabos. Meglio di Otto Gros.
4 commenti:
Ad Asti fino a qualche tempo fa c'era veramente un giovane meccanico/gommista rockabilly: magrissimo e piccolino, con ciuffone a regola d'arte. Di giorno in bisunta salopette blu a misurar pressione dei pneumatici e a volte la sera a metter musica ovviamente rockabilly al Diavolo Rosso (il locale dove sei stato) in completino grigio e brillantina col nome di DJ Tone Up. Poi boh, sparito, chissà che fine ha fatto. Forse in turnè con gli Stray Cats.
mi hanno sempre turbato quelli con i capelli da rockabilly. anche quelli solo con i capelli con la banana impomatata. quand'ero piccolo se ne vedevano di più anche signori di una certa età. magari avevano inziato anni addietro e poi si sono trascinati avanti con la banana. avevo un amico che a un certo punto voleva farsi la banana. per quanto si sforzasse in contorsioni a base di pettine, brillantina e tutto il resto non gli veniva granché bene. in compenso si eracomparato qualche disco rockabilly. perfino hillybilly. ce ne'era un altro che invece aveva una in testa una banana enorme, una roba davvero lussureggiante che in parte compensava il fatto che non parlasse quasi mai. siccome era parrucchiere erano in tanti che andavano da lui a farsi la banana. ma nessuno era mai alla sua altezza. i mod di londra o di qualsiasi altra parte non usavano le banane, anzi le detestavano perché le banane le ostentavano i rockers che rano i nemici giurati dei mods. invece i mods di cagliari avevano quasi tutti la banana e mica suonavano musica mod. niente soul, niente r&b, ma cose molto più prosaiche da discesa sul mississipi.
io non sono mai stato sfiorato dall'idea di costruirmi una banana in testa. dicevo che mi stava male e poi il rockabilly non mi piaceva neanche. preferivo il ciuffo che però non mi veniva bene lo stesso visto che ai tempi ero abbastanza riccio. ho odiato i miei riccioli. poi il cantante di blancmange (band electropop primi anni Ottanta) inventò il ciuffo nonostante i riccioli. una volta emulato mi si spalancarono le porte del cosmo. per la prima volta mi sentii adeguato.
me la ricordo quella nevicata... azz, al Poetto... io non ci andai, però... quella nevicata...
calaritan smok!
Mitica quella nevicata e mitico quell'anno!!...Ricordo perfettamente i mods di via della pineta e le loro lambrette colorate...ma ricordo anche un meccanico particolare di via della pineta buffo, basso un pò ceco con degli occhiali spessi come fondi di bottiglia e uniti dal nastro adesivo, indossava una tuta azzurra sporca di pattacche di grasso......non aveva ilciuffo ma i capelli tenuti con la brillantina linetti!
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