Raccontino di Ferragosto. Vogliate gradire se vi va.
C'ESTI 'NA BASCA 'E MORRI
il periodo più brutto per mio padre coincideva con quello più bello per quasi tutti gli altri italici di città e di campagna. Le ferie d'agosto. Le odiava perché non sapeva che farsene, visto che noi non si andava mai da nessuna parte, perché "è sempre pieno di gente". Ci andiamo a settembre prometteva ma poi a settembre andavamo al porto a vedere le navi in partenza e anche in aeroporto a vedere gli aerei salire e scendere rombanti. Era un po' come viaggiare. Un viaggio o due l'abbiamo fatto pure noi ad agosto. A Roma che sembrava un forno. Una volta ci siamo spinti pure a Milano che faceva ancora più caldo. Era appena uscito un bel numero di Tex che mi sembra fosse finito in carcere. Per arrivare a Milano ci avevamo messo un bel po' in treno visto che all'altezza di Bologna si procedeva a passo d'uomo perché qualche giorno prima era esplosa la bomba e ci sembrava incredibile che una bomba avesse potuto fare un tale scempio d'estate quando la gente va in vacanza e il ricordo della guerra era ormai lontanissimo. Comunque in quei tanti agosti di ferie e di noia, mio padre indossava la divisa d'ordinanza che era poi una canottiera bianca e si metteva a suonare senza sosta curvo sulla fisarmonica con cui si esercitava in brani complicatissimi che lo facevano sudare. Diceva che erano pezzi "scabrosi" e riprendeva a studiare e riprovare. Mi ricordo Il Volo del Calabrone che era tra i più difficili ma anche La Gazza Ladra non scherzava. Invece quando si preparava per suonare al Forte Village cambiava repertorio e si orientava sui "ballabili". Cosa fossero questi ballabili lo ignoro. A me il ballo non piaceva perché i signori quando ballavano avevano sempre le facce serie assai poco divertite. Poi negli anni a venire, da piccolo comunista intransigente dicevo che erano cose decadenti e disimpegnate. Ma quando dicevo queste minchiate ero già un po' più grande. Ma una volta in gita scolastica a Palermo scoprii quanto era bello ballare Upside Down di Diana Ross scritta da Rodgers e Edwards, ossia gli Chic. Ovviamente da quella volta e per un bel po' di anni diventai un frequentatore appassionato delle discoteche.
Quando poi mio padre era fradicio ed esausto dalla sue prove alla fisarmonica, se ne stava accasciato sullo sgabello e mormorava schifato: - c'esti 'na basca 'e morri!
(per i non sardofoni: c'è un caldo da morire!). Allora si affacciava in balcone e rimirava soddisfatto il parcheggio intorno al mercato di San Benedetto desertico e con un'infinità di possibilità di combinazioni per piazzare la macchina. Il parcheggio a go-go era l'unica soddisfazione di quel mese di ferie indolente e infame, come definiva la vita mio padre. Agosto era il mese di tregua dalla lotta in prima linea con vigili, con quelli che uscivano dal mercato, quelli che arrivavano, quasi tutti sempre incazzati perché non si trovava mai posto subito e vicino all'entrata, perché poi le buste della spesa pesano.
In qualche altra memoria avrò già scritto della frase lapidaria che mio padre pronunciava solenne osservando quell'edificio basso, sgraziato e screziato di mattoni rossi chiamato comunemente il Mercato.
La ripeto per onor di cronoca. Diceva: -Ci vorrebbe una bomba. Pensa ai parcheggi che si potrebbero fare!
L'altra frase di cui invece finora non ho mai riferito era speciale, ermetica se vogliamo, o magari talmente chiara da far riflettere per un'intera esistenza di individuo, marito e padre.
In Sardegna come altrove è consuetudine sposarsi d'estate, specie ad agosto. Quasi tutti ai tempi si sposavano ad agosto. Era più pratico e il viaggio di nozze faceva pendant alle ferie.
Ed è altrettanto consuetudine che finita la cerimonia in chiesa o in comune (ma questo in tempi più moderni) si formasse un corteo di macchine strombazzanti che seguisse gli sposi fino al ristorante.
Mi piaceva sentire quegli allegri caroselli e mi sarebbe piaciuto unirmi a loro suonando anch'io il clacson. Mio padre aveva fatto montare da un ellettrauto suo amico dei clacson potentissimi con trombe polifoniche. Un piacere suonarle spingendo il cerchio cromato applicato sopra al volante foderato di pelle.
- Almeno si sentono bene, non come quelle schifezze che mettono nelle fiat.
sottolineava puntuale.
Capitava che al culmine della gioia e dello strombazzamento certi cortei nuziali passassero per via Tiziano proprio sotto al nostro balcone.
A quel punto mio padre usciva rapido e anche un po' alterato e urlava a sposi e corteo:
- O concali! O concalis!
Sappiate che nel sardo di Cagliari si usa la O vocativa a inizio di frase e pure di nome e che concali tra i suoi vari significati oltre a pitale significa anche fesso, imbecille. Insomma un insulto a bassa intensità.
Io ridevo di gusto senza capire perché mai gli sposi e gli altri fossero concali e soprattutto perché dovesse essere proprio mio padre a farlo notare a tutti loro.
Nel tempo ho fatto diverse riflessioni su questa modalità. Riflessioni postume che non ho mai potuto esporre a mio padre perché era già morto. Certe erano amare, molto amare, altre tenere, tutte però venate da una profonda inquietudine esistenziale di una vita presa in prestito.
E allora quando andavamo in giro in macchina in certe domeniche pomeriggio particolarmente noiose, per poi dirigerci inesorabilmente verso la gelateria del Margine Rosso battezzata con un nome esotico come Trocadero e con una barista bella e sorridente ero felice perché nel suo piccolo anche quello era un viaggio, le ferie come le viveva a suo modo mio padre.
Gli chiedevo di aumentare il volume dell'autoradio quando andava in onda Supersonic con Gigi Marziani e se capitava anche una bella canzone era davvero il massimo.
Ferragosto 2014
p.s. come sempre scritto di getto e pieno di strafalcioni. Come spesso ancora senza un titolo definitivo. Una versione più ragionata apparirà prima o poi in una raccolta di racconti, anche illustrati, dedicati alla mia Cagliari.
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