Giornata di sole che spacca le pietre e brucia la testa. Ho camminato tanto. Dopo parecchi anni ho ripercorso a piedi il Ponte di Brooklyn da Manhattan a Dumbo. orario scomodo, da kamikaze estivi: circa le 13.30. il ponte era affollato e questo è lo spettacolo. Vedere facce, vedere corpi quasi tutti in movimento e qualcuno fermo accasciato sulle panchine. frastuono del flusso ininterrotto di automobili e truck, elicotteri ronzanti, traghetti e chiatte e i treni della subway. chiasso molto chiasso che assorbe tutto, azzera tutto. scatti fotografici a ripetizione. foto di gruppo, foto di acqua e di strada, foto del camminamento di travi di legno e foto delle strutture metalliche, le ossa del ponte. scatti scatti e ancora scatti.
io ho fatto una cosa che avranno fatto in tanti. un lunghissimo piano sequenza della traversata. l'ho fatto con la telecamera, una Canon molto leggera. Dura circa 15 minuti. Non stacco mai, inquadro tutto, dalla gente che passa al panorama, fino al ponte. ogni tanto anche i miei stivaletti stile clochard. A rivederlo è un video ubriacante, da insolazione, ma le facce sono indimenticabili, uniche, spesso ignare, a volte consapevoli delle riprese, qualcuna perfino complice con un sorriso o un cenno di saluto con la mano.
Il Viaggiatore Distante 3 inizia ufficialmente con questa traversata. Come ho già scritto tutta la sequenza e così pure le altre che seguiranno saranno trasportate in inverno, quindi ci sarà meno gente, meno turisti e magari vento.
Vorrei comunque che l'ingresso a Brooklyn avvenga a piedi varcando il ponte. Come entrare in un un altro mondo, un mondo fantastico, dove fantastico non significa bello e fatato, ma tutt'altro. Una dimensione parallela. Di solito le città divise/unite dai ponti mi fanno questo effetto, di mondi paralleli. Come Istambul che diventa Asia ed è diversa dalla stessa città che sorge in Europa.
Brooklyn è un'altra città, un'altra New York, fiera della sua identità, fiera della sua storia e dei suoi personaggi. Woody Allen, Lou Reed e Jonathan Lethem su tutti.
Romeo Benetti, il viaggiatore va a Brooklyn per ricomporre i pezzi del mistero del caso Bagatta, l'architetto morto in circostanze misteriose negli anni sessanta proprio mentre stava progettando un'enorme Wonder Wheel per Coney Island. Il ritrovamento di alcuni studi per il progetto nel basement della casa di famiglia a White Plains e l'incontro con Bernadette, artista eccentrica ed ex amante di Bagatta lo inducono a improvvisarsi detective. Bernadette infatti sostiene che Sal Bagatta non è morto in auto per un incidente ma per una manomissione dei freni. Conosce i mandanti: I fratelli Gattanella, titolari dell'impresa edile che aveva commissionato il progetto. Ma che interesse avevano a eliminare Bagatta?
Per sfuggire alla noia, per trovare una traccia per un romanzo che non scrive mai, per diventare semplicemente parte di un qualcosa, di un luogo, di una città di un pezzo di storia, Romeo in una gelida mattina di dicembre attraversa il ponte di Brooklyn e si dirige giù a DUMBO (acronimo di Down the Manhattan Bridge Overpass), il quartiere sotto il ponte che ricorda molto Chelsea, Williamsburg e anche un po' il Village.
Uno degli aspetti che mi piacciono davvero è la disinvoltura partorita dalla necessità.
Quando gli spazi urbani si saturano come è successo a Soho, Tribeca, Chelsea, la frontiera si sposta. Avanza e e poi si colonizza. La prassi è la solita, la stessa della conquista del West. Luoghi brutti, selvaggi, spesso inospitali si trasformano. Diventano ricercati, cambiano destinazione d'uso. Cosa assolutamente normale in qualsiasi città. La differenza è che a New York la struttura urbana rimane la stessa, sono gli innesti commerciali o culturali che cambiano l'utenza. Così Dumbo sta diventando come Chelsea, dove lo stupore di fronte alle opere esposte in gallerie elegantissime si ingigantisce quando noti che le stesse sorgono a fianco di sfasciacarrozze, gommisti, ingrosso di carni. Glamour puro.
Dumbo non stupisce, ci si è abituati ormai. È lo scenario circostante che colpisce. I ponti di Brooklyn e di Manhattan sovrastano le strade come draghi colossali e poi il fiume, i lavori in corso perenni, gli operai che camminano a fianco agli artisti. È questa la magia. Qua il pittoresco non ha casa. Qua la visione è brutale eppure netta.
È il portale che introduce Romeo dall'altra parte.
Ora è pronto al viaggio.
In questo viaggio a Brooklyn avevo intenzione di fare delle soste in una serie di pizzerie che riscuotono successo nelle varie guide gastronomiche. Volevo che queste tappe fossero delle soste come i pellegrini nelle locande. La prima sosta era prevista proprio a Dumbo, in Old Fulton Street dove c'è Grimaldi. Arrivo baldanzoso non prestando fede alle raccomandazioni delle guide che avvertono i clienti di mettersi l'animo in pace e prepararsi a una fila lunghissima. Esagerati! Penso. E penso male. Malissimo. C'è una fila lunghissima, esagerata, tipo imbarco in aereo per le ferie. Tutti fuori ad aspettare. Sotto l'insegna c'è scritto: pizza cotta con forno a carbone. E poi: no slice.
O mangi la pizza intera o niente. Troppa gente, troppa pizza. Vado oltre e finisco a birra (Brooklyn Beer ovviamente) e patty caraibico. Meglio di niente.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento