mercoledì, novembre 12, 2008

le spalle di mio nonno. Reperto n.1

Sto finendo valigia e scansioni. Domani mattina parto per Nuoro. Ripasso quello che avrò da dire nell'incontro/lettura di domenica. Scrivo, correggo e riscrivo e leggo a voce alta cercando un senso e uno stile. Cercando di dare una vita sonora alle parole ancora mute.
però una cosa ve la voglio far leggere.
Di seguito il brano di apertura con cui aprirò le danze. Non so se sarà la versione definitiva, ma è già abbastanza delineato nella struttura.
è dedicato al mio nonno materno- ed è anche la rpima volta che scrivo di lui.

Reperto n.1
La spalle di mio nonno
Di mio nonno mi ricordo le spalle larghe, il cranio pelato e il collo possente solcato da rughe profonde. Di quelle che vengono ai contadini a forza di arare i campi sotto al sole. Ma mio nonno non era contadino anche se di piante si era sempre occupato. Curava e cresceva i giardini. Sapeva tutto di innesti e talee. Io niente e nemmeno me ne è mai importato. Piuttosto mi piacevano assai di più tutte quelle altre storie di guerra quando faceva il palombaro negli abissi tirrenici o il sommozzatore a largo di Malta. Naufrago disperato con altri marinai disperati a contare i giorni immersi fino alla cintola in una grotta di scoglio a scrutare all'orizzonte le navi sperando non fossero tedesche. Senza cibo e senz'acqua che non fosse di mare e allora bevevano urina calda per scaldarsi e sperare.
Dicevo di mio nonno. Delle sue spalle larghe di palombaro sardo. Ha insegnato a nuotare tutti i suoi figli. Allora, in tempi virili, si usava dare una spinta e buttare i bambini giù dal Molo Martello del porto di Cagliari.
Ciò che non accoppa rafforza.
E quelli imparano a nuotare. Pure Maria Teresa, mia madre, che poi ha insegnato a nuotare anche a me. Ma non giù al porto, ma al Poetto, al D'Aquila perché figlio del boom io sono.A parte la storia delle grotte e dell'urina non è che mio nonno raccontasse molto di altro.Parlava poco lui. Si muoveva ancora meno.
Non mi raccontò mai di quando i fascisti l’avevano purgato con l’olio di ricino.E io non ho avuto mai il coraggio di chiederglielo.
Quasi muto, silenzioso. Parlava con le piante.
A volte nella via crucis domenicale andavamo a trovarli quei nonni di mamma. In quella casa di Via Vittorio Veneto inondata di sole e circondata da grotte.
Negli anni Cinquanta ci vivevano i senza tetto, molto tempo prima i Cartaginesi. Tutt'intorno ci sono ancora le loro tombe, una necropoli vastissima, devastata, depredata di quasi tutto e che ho visitato solo da adulto con la paura folle di essere azzannato dai cani.
Posti così sono sempre popolati dai cani.
La luce del sole di domenica si abbatteva violenta sul bianco accecante della camicia di mio nonno, seduto di spalle sul bordo del letto monumentale. Chino, curvo intento a svolgere due operazioni in successione. Lenta successione. Lentissima.
Prima si faceva la barba. Sistemava tutto l'armamentario su un un tavolino stretto e alto che poteva anche essere uno sgabello di legno, poi, lo specchio, il pennello. La ciotola con la schiuma, poi iniziava a radersi con un rasoio di sicurezza, di quelli che se anche gli cambi la lametta ti affettano la faccia lo stesso. Andava avanti così per ore. A volte tutta la mattina o quasi.
Poi passava alle scarpe.
I vecchi allora usavano solo scarpe allacciate. Mio nonno era vecchio.
Se dell'arte di radersi allora poco m'importava diverso era l'interesse per la lucidatura delle scarpe.
Un rito complicato.
Ieratico.Magico.
Lo osservavo in silenzio armeggiare spazzole e lucidi untuosi e fragranti.
Mio nonno spalmava con cura meticolosa quell'amalgama misterioso su tutta la superficie della tomaia.
Il lucido da scarpe di che cosa è fatto?Ci si può disegnare?

Lucidava due o tre paia di scarpe per volta.

Prima stendeva l'unguento sulle superfici di pelle, poi le lasciava riposare affinché il cuoio si nutrisse a dovere e solo dopo qualche decina di minuti, meglio un'ora, iniziava a spazzolarle con vigore.

Mio nonno era stato giardiniere ma sempre a lucidar scarpe l'ho visto.

Un giorno mi disse che il segreto per far brillare le scarpe era di strofinarle con una panno asciutto dopo averci dato con buona lena di spazzola.

È il panno che unisce, mescola il grasso e fa risplendere il cuoio.

Dopo l'atto di forza ci vuole l'atto di amore, di grazie e dolcezza.

Il panno asciutto.

E così anch'io ho sempre fatto.

Perché le scarpe devono essere pulite.

Mica solo il viso e le unghie.

Guardatevi ora le vostre scarpe.

Sono pulite?

E le mie sono pulite?

4 commenti:

Angelo ha detto...

Ciao, Otto.
Davvero bella la storia del nonno.

Mentre scambiavamo due chiacchere, a Nuoro (grazie del caffé), non mi è sfuggito che hai citato Steve Albini.
Anche tu folgorato da Surfer Rosa? O dagli Shellac?
Incredibile: ti credevo jazz-oriented!

Onorato di averti conosciuto.

ottogabos ha detto...

jazz oriented? non tanto. mi piacciono tantissimo chet baker e charlie haden ma sono nato e cresciuto con il rock partendo dal progressive per poi essere folgorato dal punk e svezzato dalla new wave. da allora c'è sempre stato quel filo conduttore che mi ha portato a conoscere i pixies per esempio o le produzioni ruvide e immediate di albini per esempio.
ed è così anche adesso. ascolto il nuovo e ascolto il vecchio senza alucin pregiudizio o senso di colpa che non è roba alla moda. forse è uno degli apsetti positivi nell'aver superato i 40 anni.
ricambio l'onore.

nerosubianco ha detto...

Peccato non esserci incontrati a Lucca.
Sarà per la prossima volta.

Ciao

Claudio

ottogabos ha detto...

magari eravamo pure vicini e non ci siamo visti?
come stai?
è uscito il libro?