lunedì, dicembre 15, 2014


I luoghi raccontano sempre. 

In tutti i miei libri hanno un ruolo preciso, spesso da co-protagonista. Tutto parte dalle persone e dai posti che li accolgono. Nel bene nel male. Andarli a cercare è uno dei momenti più belli del mio lavoro. Il paesaggio, specie quello urbano accompagna le scene, mette armonia nella regia, dà il giusto ritmo alla storia che prende forma attraverso il tempo rivelando un dialogo già iniziato di un amore pericoloso e tormentato. Questo accadeva nel giugno del 1937.
Una tavola che, come quasi tutto il materiale che propongo, è ancora in fase di costruzione. Mi piace dare spazio alle fasi di lavorazione intermedie e ancora incompiute. In loro c'è quel margine di imprevedibilità che aumenta l'immaginazione.

domenica, dicembre 07, 2014

The Distant Traveler


"I'll be back". He says.
"In amazing full colors version". He says.
"Maybe". Gabos says.

mercoledì, novembre 26, 2014

Il capospalla di Jack


Quando torno a casa mi piace fermarmi e dare un'occhiata alle vetrine dei negozi. Mi piace essere informato sulle mode che vanno e che vengono. Ho scoperto che da un po' di tempo i vari giacconi, cappotti, caban, parka ecc. vengono genericamente indicati con il termine "capospalla" (lo scrivo adesso così non rispondo poi alla domanda che chiede cosa sia questo capospalla). Ebbene tra tutti i capospalla che ho visto quello che mi piace davvero costa 1026 euro. Non me lo posso permetter e anche se me lo potessi permettere non me lo comprerei mai perché mi sembra immorale che un impermeabile con cappuccio (perché alla fine di questo si tratta) costi così tanto. Fine del pistolotto bacchettone. E comunque sull'autobus guardavo i capospalla delle persone a bordo. I ragazzi hanno una specie di eskimo, che non è proprio un eskimo perché sprovvisti di cintura (che comunque ai tempi tutti gettavano via). Certi signori hanno il montgomery e la maggior parte quella cosa difficile da capire che genericamente viene indicato come "giaccone pesante". Il rollio dei sanpietrini di via santo Stefano mi hanno venrie in mente le descrizioni di tanti personaggi di romanzi d'avventura, o fantasy in cui il protagonista indossa sempre "una vecchia giacca" che può essere di pelle/velluto/fustagno/daino/lana scozzese o irlandese e mai d'orbace che sarebbe anche più resistente. Non capita mai che il protagonista sfoggi una giacca nuova di zecca. Allora a mente ho scritto questo incipit che mi piacerebbe leggere da qualche parte:
"Jack si osservava allo specchio chiuso nella sua giacca ipetecnologica che aveva appena comprato. Era fatta di un tessuto leggerissimo eppure resistentissimo alle escursioni climatiche e all'aggressione di agenti esterni. Il gran numero di tasche a disposizione, tutte assolutamente ergonomiche e molte delle quali anche messe in una posizione strategia, quasi invisibile, gli consentiva di uscire senza portarsi dietro l'impiccio di borse e zainetti. Li odiava. Jack se ne andava in giro per casa con la sua bella giacca nuova per iniziare a entrarci in confidenza. Si sentiva molto soddisfatto dell'acquisto, che tra le altre cose gli era costato parecchio, un investimento non indifferente. Poi quando ricevette il messaggio, quello che aspettava, decise di ignorarlo. A pensarci bene non aveva proprio voglia di uscire,d di affrontare la pioggia battente e di infilarsi nel bosco in mezzo ai rovi e agli spuntoni di ossidiana taglientissimi. Nessuno aveva ancora capito come avessero fatto ad affiorare nel bosco e Jack decise di non approfondire. Non gliene fregava niente dell'anomalia dell'ossidiana, del bosco e dell'escursione. Si accomodò in poltrona dopo essersi versato un bicchierino di brandy e accese la Tv con il telecomando. Sul suo vlto comparve un'espressione rilassata, quasi soddisfatta come non gli capitava da tempo. Si tirò su la zip quasi per proteggersi meglio. Gli piaceva proprio la sua giacca nuova. Jack non sapeva che quella sua scelta istintiva, quasi una sorta di ribellione, avrebbe determinato in maniera irreversbile i futuro della sua vita." Ecco un incipit più o meno così, magari con un paio di revisioni e non con "buona la prima" come adesso. Ma più o meno così.

qui sotto illustrazione di Settecappotti

martedì, novembre 04, 2014

L'illusione della terraferma. Iniziare un romanzo

A pensarci bene non mi ricordo più come e quando mi è venuta l'idea di raccontare una storia ambientata durante il fascismo in Sardegna poco dopo la fondazione della città di Carbonia, creata apposta per sistemare i minatori, sardi ma anche di tante altre parti d'Ialia. Non c'è mai stata una scintilla vera e propria, è stato come se la storia ci fosse sempre stata da qualche parte nella mia mente. Aspettava solo di essere raccontata. Mancavano le opportunità e la volontà. Vedevo le difficoltà, non mi sentivo adatto per varie ragioni legate forse al mio stile grafico, alle ricerche storiche, che  almeno in apparenza si trattasse di un thriller. Perché alla fine L'illusione della terraferma è un thriller. Anzi un giallo come si è sempre detto da queste parti. Alla fine di tutta la storia ci saranno i colpevoli.
Questo romanzo grafico interpreta il mio terzo ritorno narrativo in Sardegna. la prima volta era stato parecchi anni fa su Mondo Naif con Loving the Alien ambientata a Cagliari durante l'austerity per la crisi petrolifera della prima metà degli anni Settanta, periodo in cui era scoppiata la moda degli avvistamenti UFO, poi l'anno scorso era uscito, per la collana Storia della Sardegna a Fumetti edita dall'Unione sarda, un altro romanzo, questa volta breve, forse una novella, che era ambientato sempre nel Sulcis poco dopo l'eccidio di Buggerru. Il titolo che gli avevo dato era Metallo Malfidano, ma poi per qualche esigenza editoriale era uscito con un classico e forse un po' pleonastico L'eccidio di Buggerru. Questi incontri con la Sardegna e con la mia sardità, a tratti labile, a tratti distante, a tratti incontenibile, sono cresciuti con il tempo. Confrontarmi con le mie origini, cercare di capirle, cercare magari di raccontare delle storie. Non è facile, tutt'altro. Forse un momento decisivo è stato al festival di Gavoi di qualche anno fa a cui ero ospite. Una notte, dopo una cena sarda con vino denso e fil'e ferru mi sono trovato coinvolto a ballare il ballo sardo in una qualche piazzetta. Ero goffo, terribilmente goffo, però mi divertivo e passo dopo passo riprendevo i fili con una memoria mai avuta ma di cui avevo comunque delle tracce in dotazione al momento della mia confezione. Il ballo di un attimo che ha messo di nuovo in moto modalità che mi erano ignote. Ho iniziato a pensare di raccontare di luoghi e di persone che mi erano quasi sconosciuti. Da sardo di città migrato da giovane sono molto ignorante riguardo al territorio. Turista in caso. Meglio però essere viaggiatori in casa.
L'illusione della terraferma è anche il mio viaggio in luoghi legati a mia madre. Per tanti anni è stata insegnante elementare in diverse scuole del Sulcis, da Narcao a Iglesias per esempio. Di Iglesias ricorda i suoi anni più belli quando le avevano assegnato la sede di Campo Romano, quartiere operaio popolato da minatori. Gente semplice e onesta con cui si era creato da subito un legame sincero. Ogni tanto mi portava con sé, prendevamo il treno, una littorina di un brutto colore, una specie di marrone ruggine da impermeabile e mi accomodavo con gli altri bambini nei banchi di legno con la ribaltina graffiata e incisa da temperini che si erano alternati da generazioni. Ricordi lontani che in qualche modo ora mentre sto lavorando al libro ritornano.
Un viaggio su due binari paralleli che s'incrociano ai passaggi a livello. Storie diverse in un unico flusso mentale.  Un romanzo e una ricognizione della memoria che poi magari diventerà altro romanzo.
Per ora basta questo.
A seguire gli aggiornamenti, gli appunti di lavoro mentre questo prende forma, cresce. Ci saranno gli entusiasmi e i momenti di stallo, le difficoltà e le perplessità. Certe di queste le racconterò qui sperando in un confronto sincero con chi avrà l'interesse a seguirmi.
Buona lettura e benvenuti in questo romanzo.

sabato, ottobre 11, 2014

L'illusione della terraferma. Diario di lavoro #2.


Ottobre 1938, anno XVII. Il poliziotto Mallus Salvatore sorridente dopo aver mangiato qualche patella fresca appena scrostata da uno scoglio. Pare sia nato a Portoscuso anche se lui per qualche insondabile motivo preferisce glissare.

mercoledì, ottobre 08, 2014


L'illusione della terraferma. Diario di lavoro #1.



La faccia di Ettore Marmo mi ha fatto penare. Tante prove, tante varianti di dettagli. Capelli mossi, lisci, impomatati, naso dritto o camuso e poi i baffi, non è facile lavorare con quelli che hanno i baffi, spesso nascondono la bocca e limitano le espressioni. Fra le tante prove a un certo punto marmo somigliava anche a Mauricio Pinilla, ma senza tatuaggi. Ma era troppo regolare, quasi classico.
Se fosse stato un personaggio di un film di ieri sarebbe stato Pietro Germi o Vittorio Gassman, se fosse un film di oggi sarebbe Alessandro Gassman. Siccome non è un film gli ho rotto il naso al punto giusto e finalmente è diventato lui. Un bastardo cinico che strada facendo si scopre molto meno bastardo cinico e diventa perfino sentimentale.
Qua mentre esprime un suo tipico pensiero.




lunedì, settembre 01, 2014

Letture estive e non

Qualche mia lettura nella rubrica Lo scaffale di... su Fumettologica. Non sono consigli di lettura, però se vi va leggete e nel caso consigliate o condividete.
http://www.fumettologica.it/2014/09/lo-scaffale-di-otto-gabos/

domenica, agosto 17, 2014

Raccontino di Ferragosto. Vogliate gradire se vi va.

C'ESTI 'NA BASCA 'E MORRI
il periodo più brutto per mio padre coincideva con quello più bello per quasi tutti gli altri italici di città e di campagna. Le ferie d'agosto. Le odiava perché non sapeva che farsene, visto che noi non si andava mai da nessuna parte, perché "è sempre pieno di gente". Ci andiamo a settembre prometteva ma poi a settembre andavamo al porto a vedere le navi in partenza e anche in aeroporto a vedere gli aerei salire e scendere rombanti. Era un po' come viaggiare. Un viaggio o due l'abbiamo fatto pure noi ad agosto. A Roma che sembrava un forno. Una volta ci siamo spinti pure a Milano che faceva ancora più caldo. Era appena uscito un bel numero di Tex che mi sembra fosse finito in carcere. Per arrivare a Milano ci avevamo messo un bel po' in treno visto che all'altezza di Bologna si procedeva a passo d'uomo perché qualche giorno prima era esplosa la bomba e ci sembrava incredibile che una bomba avesse potuto fare un tale scempio d'estate quando la gente va in vacanza e il ricordo della guerra era ormai lontanissimo. Comunque in quei tanti agosti di ferie e di noia, mio padre indossava la divisa d'ordinanza che era poi una canottiera bianca e si metteva a suonare senza sosta curvo sulla fisarmonica con cui si esercitava in brani complicatissimi che lo facevano sudare. Diceva che erano pezzi "scabrosi" e riprendeva a studiare e riprovare. Mi ricordo Il Volo del Calabrone che era tra i più difficili ma anche La Gazza Ladra non scherzava. Invece quando si preparava per suonare al Forte Village cambiava repertorio e si orientava sui "ballabili". Cosa fossero questi ballabili lo ignoro. A me il ballo non piaceva perché i signori quando ballavano avevano sempre le facce serie assai poco divertite. Poi negli anni a venire, da piccolo comunista intransigente dicevo che erano cose decadenti e disimpegnate. Ma quando dicevo queste minchiate ero già un po' più grande. Ma una volta in gita scolastica a Palermo scoprii quanto era bello ballare Upside Down di Diana Ross scritta da Rodgers e Edwards, ossia gli Chic. Ovviamente da quella volta e per un bel po' di anni diventai un frequentatore appassionato delle discoteche.

Quando poi mio padre era fradicio ed esausto dalla sue prove alla fisarmonica, se ne stava accasciato sullo sgabello e mormorava schifato: - c'esti 'na basca 'e morri!
(per i non sardofoni: c'è un caldo da morire!). Allora si affacciava in balcone e rimirava soddisfatto il parcheggio intorno al mercato di San Benedetto desertico e con un'infinità di possibilità di combinazioni per piazzare la macchina. Il parcheggio a go-go era l'unica soddisfazione di quel mese di ferie indolente e infame, come definiva la vita mio padre. Agosto era il mese di tregua dalla lotta in prima linea con vigili, con quelli che uscivano dal mercato, quelli che arrivavano, quasi tutti sempre incazzati perché non si trovava mai posto subito e vicino all'entrata, perché poi le buste della spesa pesano.

In qualche altra memoria avrò già scritto della frase lapidaria che mio padre pronunciava solenne osservando quell'edificio basso, sgraziato e screziato di mattoni rossi chiamato comunemente il Mercato.
La ripeto per onor di cronoca. Diceva: -Ci vorrebbe una bomba. Pensa ai parcheggi che si potrebbero fare!

L'altra frase di cui invece finora non ho mai riferito era speciale, ermetica se vogliamo, o magari talmente chiara da far riflettere per un'intera esistenza di individuo, marito e padre.
In Sardegna come altrove è consuetudine sposarsi d'estate, specie ad agosto. Quasi tutti ai tempi si sposavano ad agosto. Era più pratico e il viaggio di nozze faceva pendant alle ferie.
Ed è altrettanto consuetudine che finita la cerimonia in chiesa o in comune (ma questo in tempi più moderni) si formasse un corteo di macchine strombazzanti che seguisse gli sposi fino al ristorante.
Mi piaceva sentire quegli allegri caroselli e mi sarebbe piaciuto unirmi a loro suonando anch'io il clacson. Mio padre aveva fatto montare da un ellettrauto suo amico dei clacson potentissimi con trombe polifoniche. Un piacere suonarle spingendo il cerchio cromato applicato sopra al volante foderato di pelle.
- Almeno si sentono bene, non come quelle schifezze che mettono nelle fiat.
sottolineava puntuale.
Capitava che al culmine della gioia e dello strombazzamento certi cortei nuziali passassero per via Tiziano proprio sotto al nostro balcone.
A quel punto mio padre usciva rapido e anche un po' alterato e urlava a sposi e corteo:
- O concali! O concalis!
Sappiate che nel sardo di Cagliari si usa la O vocativa a inizio di frase e pure di nome e che concali tra i suoi vari significati oltre a pitale significa anche fesso, imbecille. Insomma un insulto a bassa intensità.
Io ridevo di gusto senza capire perché mai gli sposi e gli altri fossero concali e soprattutto perché dovesse essere proprio mio padre a farlo notare a tutti loro.
Nel tempo ho fatto diverse riflessioni su questa modalità. Riflessioni postume che non ho mai potuto esporre a mio padre perché era già morto. Certe erano amare, molto amare, altre tenere, tutte però venate da una profonda inquietudine esistenziale di una vita presa in prestito.
E allora quando andavamo in giro in macchina in certe domeniche pomeriggio particolarmente noiose, per poi dirigerci inesorabilmente verso la gelateria del Margine Rosso battezzata con un nome esotico come Trocadero e con una barista bella e sorridente ero felice perché nel suo piccolo anche quello era un viaggio, le ferie come le viveva a suo modo mio padre.
Gli chiedevo di aumentare il volume dell'autoradio quando andava in onda Supersonic con Gigi Marziani e se capitava anche una bella canzone era davvero il massimo.

Ferragosto 2014

p.s. come sempre scritto di getto e pieno di strafalcioni. Come spesso ancora senza un titolo definitivo. Una versione più ragionata apparirà prima o poi in una raccolta di racconti, anche illustrati, dedicati alla mia Cagliari.

domenica, maggio 25, 2014

La meta di Shalimar Koglia

Mentre continuo a cercare di capire, di relazionarmi e auspicabilmente di domare questo blocco di carta modesta continuando a disegnare, mi sforzo a rendere in qualche modo compiuti i miei bozzetti o sketch. Di solito lavoro su frammenti, corpi indefiniti o monchi di qualcosa, diversi momenti che si intersecano. Insomma l'officina del provvisorio. Ho visto certi sketchbook di bravi disegnatori, ordinati, compatti dove ogni pagina era un disegno finito. Li ho ammirati e non solo per la perizia ma soprattutto per metodo e costanza. Averne fatti già due nel giro di qualche giorno lo posso considerare se non un record un viatico. Che poi disegnare in un blocco con metodo abbia un senso è un altro discorso su cui rifletterò in seguito. Comunque sia eccolo qui, Shalimar Koglia. Chi ha letto Esperanto forse se lo ricorderà. Truffatore, avventuriero, biscazziere, giocatore d'azzardo, filosofo e mistico lieve è alla base e artefice di un mondo distopico regolato dal gioco e dalle scommesse. Ai numerosi lettori che mi hanno chiesto di un possibile secondo volume della serie rispondo che al momento non dipende solo da, però se mai dovesse esserci un secondo volume non si tratterebbe di un seguito ma di un inizio, proprio con Shalimar Koglia, abbastanza giovane che ha appena varcato gli altipiani aspri dell'Albania sfuggendo alla cattura dei giannizzeri. Non sa ancora come ma è certo di raggiungere la lontanissima Armenia, scalarne le montagne e poi scendere lento ma inarrestabile verso il grande mare interno dove l'acqua brucia in roghi perenni. La sua metà è il Caspio, voragine di petrolio.

mercoledì, maggio 21, 2014

Ritratto di un giovin signore


Più o meno è andata così. Stavo ascoltando Morning Phase di Beck. Stavo inchiostrando una tavola e poi ho visto un blocco da disegno di carta leggera e adatta a quasi niente e ho voluto testarlo con matita, pennarello e acquerello. Sulla scrivania c'era anche un volume di Corto Maltese. C'erano anche altri volumi sulla scrivania, però quello di Pratt era proprio sul primo strato. Mi sono messo a disegnare così a caso mentre continuavo ad ascoltare l'ultimo Beck, che per inciso è un album molto bello anche se qualcuno quando è uscito che pioveva sempre aveva detto che era roba da tagliarsi le vene, e così per caso continuava a insinuarsi in testa il termine Giovin Signore. E allora si è fatto avanti questo ragazzotto in peacoat e sciarpa con ciuffo britannico al vento. E già che c'ero ho pensato anche al gran tour e pure agli elmetti dei prussiani. Nel mentre è finito Beck e me lo sono riascoltato anche quando cercavo di domare con il phon le pieghe indelebili dell'acqua sul foglio modesto che si era imbarcato fino a quasi naufragare. In qualche modo l'ho salvato e quelle pieghe irrimediabili sono diventate pure delle texture interessanti. Ora che ho testato questo nuovo blocco da schizzi e l'ho pure condiviso qui su Fb e pure su Radioherzberg dove non è passi molta gente torno a inchiostrare placato nell'animo.

Il Giovin Signore, pennarello, acquerello su carta leggera e molto modesta, fx, maggio 2014.


lunedì, maggio 19, 2014


IL BASILICO DELLA PATAGONIA

Stamattina non c'era latte a casa. Scendo dal bengalese all'angolo e già che ci sono ho la missione anche per comprare delle uova. Una confezione da 10 e una da 6. Entro nel negozio e chiedo dove sono le uova, vedo che ci sono solo confezioni da 6 e allora chiamo a casa perché poi non voglio tornare una seconda volta qui al negozio perché ho comprato troppe o poche uova. Mentre faccio il numero di casa c'è questo tizio che va avanti e indietro nel negozio con un vaso con dentro una pianta di menta. Cosa euro 1.49. Parla della menta ma dice che è basilico. Parla a voce molto alta e si rivolge al gestore bengalese che è un tipo che non parla molto, lavora molto e si fa i fatti suoi. Il tizio, che a guardarlo bene sembra uno di quelli della Bologna bene vestito casual ma firmato, decanta il profumo del basilico. Chiama menta basilico e dice che il basilico l'hanno importato in Italia gli antichi romani dalla Turchia. Sbatte sotto al nase del bengalese il vaso fragrante e poi già che c'è anche sotto al mio che nel mentre sto parlando al telefono con mia moglie per chiederle a proposito delle uova. Buon profumo, la menta ha un buon profumo. Dico io. Uè, biondo ma che cazzo, dici? ci fai o ci sei,? cosa ti sei pippato stamattina? hai detto menta, guarda che questo è basilico, dico basilico! sai da dove viene il basilico? l'hai appena detto viene dall'Anatolia. Dalla Turchia ho detto che viene? Ma allora mi prendi in giro, è menta o basilico? hai voglia di far polemica? Ma no, non sono esperto di piante, sarà una nuova varietà di basilico. è basilico ti dico, l'hanno importato i romani perché erano dei geni loro, stavano in un posto piccolo e del cazzo come l'Italia che però poi avevano tutto. Grandi i romani. E poi adesso i rimani che stanno stanno a Roma tengono il Colosseo chiuso. Ma tu che hai detto che vieni dal Bangladesh sai cos'è il Colosseo? Come hai detto? Allora lo sai o non cos'è il Colosseo? ecco lo vedo non sanno un cazzo questi. tu che sei intelligente hai visto quel film? quello nuovo molto bello? Quale film? Cos'è non vai mai su cineblog? No. Male, vacci subito e comunque il Colosseo dovrebbero aprirlo. Sì. Intanto il signore bengalese non mi fa lo scontrino. Ha paura e cerca alleati. Io mi metto vicino a lui dall'altra parte e parliamo del Colosseo. Il tizio con la menta trasmutata in basilico ora sposta il tiro a New York. Sai qual è il monumento che hanno che avrà cent'anni e ha sempre fila e fanno un pacco di soldi? Ma ci sei stato in America, eh biondo? Sì. Molto bene lo dicevo io che tu sei intelligente. e tu Bangladesh sai come chiamavano Roma? No, eh?, non sapete proprio un cazzo voi. Roma era capo de mondi, capì? Non capisco. ehi, biondo ma ci devi fare con tutte quelle uova? la frittata. Ah buona la frittata, però le uova fanno male. Ma quindi questa pianta per te è menta o basilico? Per me, biondo è basilico e tu non mi prendi in giro, no? Sai da dove viene il basilico? sì dalla Turchia. Ma dalla Turchia dove? Forse dalla costa. Dalla Patagonia, viene dalla Patagonia! ma che dici? la Patagonia è in Sudamerica. Ho pagato, infilato il resto in tasca e mi sto allontanando il più veloce possibile. Con quello che continua a parlare del basilico con gli occhi di fuori, molto ma molto su di giri. Si allontana anche lui. Ma non era pazzo, era solo molto schizzato, effervescente direi. La discussione poteva anche degenerare, poteva scatenare una rissa. Potevano volare pugni. Come in quei drugstore dove poi si sparano ed entra il poliziotto e si becca una pallottola nello stomaco pure lui. E non è che uno guarda troppi film, è che le tragedie accadono per motivi del cavolo come una pianta di menta o basilico, come il latte che manca a casa e che dovrebbe essere comprato di sabato. Quando torno a casa mentre cerco di raccontare a mia moglie del basilico lei mi dice che non dovevo prendere quel latte con scritto più giorni e io per poco non la mando a quel paese e mi metto fuori in balcone a guardare di sotto i vecchietti che escono con il cane o sfogliano il Carlino e poi a colazione parliamo di quanto sia caduca la vita e l'esistenza tutta e che non ci vuole mica molto a trasformarla in farsa che diventa tragedia per una cazzata come il latte che è finito e il basilico che tra l'altro nella frittata ci sta molto bene. Dopo scendo di nuovo dal bengalese e gli chiedo se dietro alla cassa ha qualcosa per difendersi. Che so una mazza da cricket, lo spray al peperoncino. Gli dirò anche di vendere cactus e non menta. Nessuno confonde i cactus con la menta o il basilico. Forse.
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lunedì, aprile 14, 2014

Archivi Gabos. Il Maresciallo Satrapo Von Trotta

Costui di nascita alpina ma prussiano di rango aveva perso in gioventù, durante la presa di Parigi la sua mano destra, sostituita ora con un comodo uncino di acciaio nipponico. 

Disegnino realizzato a biro durante il bell'incontro con Rita Brugnara in sala Arcangeli, Pinacoteca di Bologna. 10 aprile 2014.

sabato, marzo 29, 2014


Archivi Gabos.
Trittico Miranda per segnalibro. Pastello e carboncino su carta, fx, 2014.
La storia è in cantiere, sarà messa in produzione nel 2015. Per ora ogni tanto qualche assaggio.

mercoledì, marzo 26, 2014

 Cop shoot cop

Archivi Gabos.
Studio per "La giustizia siamo noi", scritto da Pino Cacucci, edito da Rizzoli, 2011.
Matita, china, acquerello su cartoncino, fx.



martedì, marzo 25, 2014

Dagli Archivi Gabos. 
Abbastanza noia, matita, china diluita, fx su carta, anno 2012 circa.


domenica, marzo 16, 2014


Prove di faccia a china

Domenica multitasking. Ho squadrato i fogli pensando allo storyboard che sto per intraprendere. Il momento più bello, quello di totale comunione con il flusso narrativo che da caotico si deve fare ordinato e fluido. Forse, anzi di sicuro il ragazzino protagonista di questa storia finirà svenuto a terra, sull'asfalto. Poi penso all'altra storia che si fa corpo su carta. Mi appassiona scoprire come definire le matite con questi tentativi ancora approssimativi a china. Perché di scoperta si tratta. Il progetto creativo si scontra e si fonde con ciò che la mano sa fare. Comunque sarà un segno robusto e sintetico e nero rabbioso su una bella carta robusta leggermente ruvida abituata a sopportare maltrattamenti e cambi di umore in corsa. Intorno alle facce compaiono anche i nomi che verranno. I loro ruoli si riveleranno pian piano.

mercoledì, marzo 12, 2014

Lo spartito del disegno

Questo è il momento che preferisco quando compongo una storia. Quando sei dentro, immerso con eventi, luoghi e persone. Ti muovi come loro, diventi loro. La matita rabbiosa su carta povera e poi i primi approcci con il colore appena abbozzati. Come provare al 
piano o alla chitarra gli accordi per una nuova canzone.

Matite tratte da L'illusione della terraferma, Prossima pubblicazione Rizzoli-Lizard.


domenica, marzo 09, 2014

Ineluttabilmente noi

Nell'immagine: Livia Dossi e Luciano Parmes sul palco a ricevere gli applausi per quello che sarà il loro ultimo concerto. Circa un'ora dopo saranno arrestati con l'accusa di spionaggio e cospirazione e tradotti in carcere. Saranno fucilati la mattina del 18 maggio 1944. Si dice che di fronte al ristretto plotone d'esecuzione cantassero insieme il refrain di 
"Ineluttabilmente noi", uno dei loro grandi successi.

sabato, marzo 08, 2014


Gabos Vintage Collection.

Notte insonne. Mia figlia si è svegliata e non ne vuol sapere di tornare a letto. Nemmeno i teletubbies hanno potuto ipnotizzarla. E allora piuttosto che addormentarmi io sul divano mi sono messo a finire un disegno iniziato su carta qualche giorno fa ma lasciato in sospeso a mente da circa trent'anni. Quando ero ragazzo e volevo conquistare il mondo con una serie bellissima ispirata alla vita avventurosa e molto inventata di mio bisnonno Enrico. Per esigenze poetiche gli avevo messo il cognome di mia nonna ed era diventato Enrico Fiorenza. Volevo raccontare dei suoi viaggi, delle sue imprese in Etiopia e del suo commercio di tulipani, dei suoi amori e della ricerca di un amico disperso nella savana e ridotto in fin di vita da attacchi violenti e pertinaci di febbri maltesi. Tra il 1983 3 e l'anno seguito avevo disegnato in totale trance entusiastica circa una trentina di tavole che portai alla prima Lucca Comics della mia vita. Le msotrai a Fulvia Serra allora direttrice di Alter Alter e poi anche a Vincenzo Sparagna direttore di Frigidaire. La storia non uscì mai ma qualche anno dopo degli episodi slegati dal progetto apparvero prima su Tempi Supplementari e poi proprio su Frigidaire. Tutto finì travolto dal tempo e da altre urgenze dei vent'anni. Ogni tanto però ci pensavo al bisnonno Enrico. Avrei voluto raccogliere del materiale, appunti, ricerche, magari un viaggio in Etiopia dove Enrico aveva avuto un figlio. Pare si chiamasse Giovanni. C'era tanto da fare e mai tempo per farlo. Poi comicinciai a chiedere notizie alla filgia di Enrico ormai novantenne, stremata dalla vita eppure così attaccata ed entusiasta. Qualche chiacchiera in un letto d'ospedale, qualche sorriso, un abbraccio che sapevamo come ultimo e zia Maria se n'è andata ed Enrico è rimasto lì sui miei fogli ad aspettare.
Forse ci voleva una bella mostra del fine settimana scorso, il ritrovamento dei pastelli colorati Derwent e una bambina insonne a farmi riprendere, anche magari solo per un attimo, un dicorso interotto, un filo da riannodare, il piacere della matita sul foglio, lo sforzo gioioso di incontrare un me stesso di un mondo parallelo dove la serie di Sudori d'Africa è ormai arrivata al quattordicesimo volume. E così eccoci qua, l'immagine è finita e la condivido con chi è ancora sveglio a quest'ora assurda della notte con i Teletubbies.


lunedì, marzo 03, 2014

Grandi occhi profughi bambini

In anteprima un dettaglio di un'illustrazione realizzata per una campagna di sensibilizzazione riguardo i centri di accoglienza di profughi e migranti di Lampedusa.
Gli occhi raccontano e quasi mai non hanno bisogno di parole.

lunedì, febbraio 24, 2014

ROMEO NON RIDE

Di sogni e incubi da quaderno, di cose di altri tempi e di cose di questi tempi che sembrano comunque fantascienza, di chi è diversamente allegro.
Prossimamente qui. Forse.

sabato, febbraio 22, 2014

Silvan Silva
Ieri sera a un certo punto sono arrivato a rai1 a Sanremo quando fazio stava annunciando un ennesimo ospite eccezionale, ossia il mago Silvan, che ovviamente tutti i giovani sotto i sessant'anni conosceranno. Ho cambiato subito senza nemmeno aspettare apparisse sul palcoscenico. Poi ieri notte a un certo punto ho sognato il mago Silvan che sembrava molto vecchio, solcato di rughe come un campo di barbabietole e anche raggrinzito come un fico secco. Il mago Silvan alle mie richieste di farmi un gioco di prestigio dice che non ha voglia e che voleva stare seduto sulla poltrona di mia madre, meglio se con un bel plaid sulle ginocchia. Mentre glielo sistemo per bene non posso non fargli i complimenti per il suo bellissimo smoking bianco con i revers di raso nero e il papillon di paillettes. Lui abbozza un sorriso tirato e accenna una carezza tremolante. In quel preciso istante mi accorgo quando il mago Silvan del mio sogno somigli a Henry Silva che i giovani sotto i senssant'anni ricorderanno come il cattivo di film polizieschi che non aveva mai un'espressione che una, nemmeno quella di default da foto degli album dei calciatori. Il mago Silvan era Henry Silva e abbiamo passato il resto del sogno a parlare se fosse meglio fare un inseguimento con un'alfa romeo Giulia o lo squalo DS. Non mi ricordo cosa mi abbia risposto. Forse è sparito e basta.

giovedì, febbraio 20, 2014


L'arpìa maschio o  meglio l'arpìo.

Esercitare una propensione innata al multitasking mettendo a prova disegni istintivi durante l'ascolto di un intervento durante una riunione di lavoro è una delle pratiche più interessanti legate al processo creativo.In questo caso l'arpia maschio o meglio l'arpìo offre sviluppi impensabili per un suo impiego in un futuro contesto narrativo. Potrebbe anche interpretare uno de "Gli amici di Romeo", che so il tabaccaio anziano di una vecchiaia indefinibile, ingobbito e protetto dal suo grembiulino nero in tessuto sintetico. L'arpio non ti regala mai le cingomme con il dollaro di Paperone e lesina anche sulle 5 lire che sommate a tante altre 5 lire fanno un bel gruzzolo. L'arpìo di notte in terra di sogno indossa ali di piume e gracchia raschiando le zampe ungulate sul vetro ghiacciato della finestra di camera tua. Non vuole nemmeno entrare, ti fa sapere semplicemente che è proprio là fuori.Brano tratto da "Gli amici di Romeo" di Otto Gabos, 2016.pennarello su agenda moleskine.

mercoledì, febbraio 19, 2014

Il valido Dr. Strosser Procoli


Il valido Dr. Strosser Procoli dovrebbe essere uno psicoterapeuta perfetto. Ascolta sempre e non parla mai. Ogni tanto gli rotola per terra un occhio di vetro o addirittura gli scivola via la dentiera che poi non è proprio una dentiera ma una mezzaluna di cartone che ride. Il vero problema è tenere il corpo ritto ben fermo e aderente alla spalliera della sedia. Romeo ha provato di tutto, o almeno con gli strumenti che è in grado di usare, molto pochi per la verità, visto che un bambino di dieci anni a maggio non è che abbia così tanta manualità. Per giunta non ha mai letto né il Manuale del trapper né Il Manuale delle Giovani Marmotte e odia gli scout perché hanno il fazzoletto al collo senza essere cowboys. Così, non riuscendo a tenerlo ritto con il nastro colorato da regalo, a Romeo non è restato altro che incollare con il vinavil la schiena del valido Dr. Strosser Procoli alla sedia sarda con il fondo di paglia e l'anima in legno con i merletti scolpiti a pialla. Una bella sedia sarda rossa a cui ha abbinato un bel plaid fantasia che copre le gambe d'ombrello del dottore che calzano, a seconda dei giorni e del tempo, ora stivaletti con la zeppa della mamma e ora pantofole di feltro a scacchi con la zip anteriore della nonna. Insomma a parte gli occhi che rotolano e tutto il resto che cade comunque è bello parlare con il Dr. Strosser Procolo.

Brano tratto da "Gli amici di Romeo", Otto Gabos 2016.Pennarello su agenda moleskine.