martedì, aprile 30, 2013

Almost me with stubble

Quando sono molto impegnato sul fronte di una consegna la tensione sale. Sto disegnando da diverse settimane usando un segno drammatico con pennino graffiato e pennellate di inchiostro denso. Ogni tanto sento l'esigenza di abbassare i toni e prendermi una breve pausa pur sempre restando dietro a un disegno. Mi viene da cambiare tono e atteggiamento, approccio e strumenti. Una liberazione, un'incursione in quell'altrove necessario al di là del muro. Una riscoperta di segni plastici con pennarelli molto duttili e divertenti. e per divertente intendo quando è facile da manovrare, non ti poni in conflitto ostile, né tantomeno ti senti costretto a procedere in uno stato quasi di sfida fisica  e mentalecome possono essere appunto il pennino o il pennello.
Oggi poco prima di cena è arrivato questo quasi autoritrattino buffo, realizzato in una striscia di cartoncino avanzato.

mercoledì, aprile 10, 2013

Quasi un raccontino scritto di fretta

Sono arrivati tardi che gli altri stavano già suonando. seduti per terra perché sedie e tavolini liberi sono finiti da un pezzo. Lui indossa occhiali robusti decisamente hipster ride impacciato e ha orecchie solo per la musica di cui se solo potrebbe si nutrirebbe anche addentandola. Ha occhi solo per lei che è bionda e con il naso perfetto e dritto. Lei è bella e lui è uno di quelli che ci crede e ce la mette sempre tutta. Poi li chiamano a sorpresa sul palco e fanno un pezzo. Forse loro, più probabile di qualche band americana, di quelle con la cantante troppo brava per cantare canzoni così sceme e allora non le resta che contorcersi e avvitarsi con gorgheggi virtuosi svilenti e pacchiani. Lui come sempre ci dà dentro con la fender. si muove il giusto qualche scatto e a ogni accordo in levare accompagna con una smorfia sofferta ma nemmeno tanto, più che altro partecipe. Li guardi per guardarli, non te ne frega niente di quella brutta canzone, lo spettacolo è nella grinta e nell'entusiasmo. Lo spettacolo è racchiuso in quei 18 anni che avranno al massimo. 18 anni carichi di energia, di furore grezzo e naif, di ormoni impazziti, di orizzonti ampi e infiniti, di altre risate, di baci che sanno di menta, di sigaretta, di birra e di lucida labbra al lampone o alla fragola. Li guardi e senti un vuoto dentro, un vuoto di senso, le farfalle che sfrigolano e per un attimo, fai anche due vorresti essere di nuovo come loro, ragazzo e ragazza, voce e chitarra, ridere e vedere gli orizzonti sempre come infiniti. Sarà nostalgia, sarà invidia, rimpianto o cos'altro ma più in là a notte fonda mentre lasci perdere la lettura degli atti di un congresso di Benno Von Arcimboldi che capisci e decidi che per ritrovare quel gusto e quelle risate perdute, tutta quella grinta in levare non ti resta che scrivere di loro, di quei ragazzi di al massimo 18 anni che cantavano in un pub di media periferia come fossero all'Hammersmith. Farai questo di sicuro perché è vitale. E magari scriverai anche di quell'altra ragazza che era seduta tra il pubblico e con quella sigaretta messa di traverso sembrava molto più grande e vissuta. Parlerai dei suoi tatuaggi e del suo mento sfuggente che tanto detesta, dei suoi amori precoci e maldestri, della sua rabbia e del suo vuoto di senso che poi è lo stesso che accomuna tutti a 18 come a 50 anni.