venerdì, maggio 01, 2015


Sant'Efisio o il mio I maggio.


Fino a un certo punto della mia vita per me il I maggio era la festa di S. Efisio. Tutti ne parlavano e tutti volevano essere sempre in prima fila a vedere i costumi e i carri sfilare. Ogni tanto genitori e parenti mi portavano in via Roma o nel largo a vedere lo spettacolo ma siccome ero piccolo non è che vedessi tanto. E poi non succedeva niente, solo questi e queste che sfilavano a piedi o su un carro trascinato da buoi. Mi sembrava una cosa davvero noiosa e non capivo come poi anni dopo potessero trasmettere la diretta addirittura in tv. Una volta invece avevo visto di sera i miliaziani vestiti come il tamburino del logo della Fiera che tornavano al galoppo. Chissà quale avventura avevano vissuto. Mi piacevano molto i baffi e il pizzetto di S. Efisio, tant'è che per diversi periodi di vita adolescenziale e adulta l'ho indossato. I signori, vedendomi, mi apostrofavano con "sant'Efis sballiau" (il falso Sant' Efisio) e ridevano. L'ultima volta che sono stato a Sant'Efisio è stato nel 2001 prima che il mondo cambiasse, in peggio, per sempre. Ero con mia moglie che non era ancora mia moglie e c'era pure mia madre. Più che altro mi ricordo che indossavo una giacca di pelle scamosciata ed ero in piena crisi di rinite allergica. Nel mentre fra il 1986 e l 2001 avevo scoperto il I maggio come lo festeggiano nel resto d'Italia o almeno a Bologna dove insieme al 25 aprile fa parte del dittico delle festività laiche al pari di Natale e Capodanno. Però anche qui il I maggio non è che mi piacesse molto, con tutti quei discorsi retorici, i comizi, le marce, le facce gravi. Leggevo proprio ieri uno che si chiedeva com'è che la festa del lavoro la festeggi senza lavorare? E poi la voce gioiosa nei supermercati che qui quelli di una certa età chiamano la "cooperativa" che parla di scelte coerenti e di libertà e dagli allora a quell'altro signore che invece i suoi ipermercati li tiene aperti. la libertà è una parola bellissima, ancora più bella quando poi c'è una ricaduta nei fatti e uno il I maggio sarà anche libero di fare quello che gli pare. la possibilità si scegliere soprattutto e vale epr la cooperativa e per la concorrenza. Il lavoro è sacro, un diritto inalienanabile di indipendenza e di libertà. è la modalità del lavoro che muta, cambia rapido ed è buona cosa imparare a leggere questi mutamenti rapidi e continui. Bisognerebbe dare spazio alla libertà e alla creatività, stimolare i sogni che possano diventare impresa e non tarparli prima ancora che prendano semplicemente forma. Come sempre questo I maggio è probabile che lavori, come faccio sempre, oppure esco con famiglia verso qualche giardinetto ameno, magari di sera vedrò il concertone che quest'anno per fortuna non ha come gruppo principale i Nomadi ma Finardi che è sempre un grande. Se ne avessi avuto la possibilità oggi magari sarei a Napoli al Comicon in mezzo alla ressa come mi è capitato spesso in passato. Per ora sono qui alla tastiera dopo aver fatto colazione e aver letto un paio di capitoli di La ferocia di Nicola Lagioia. Non ho nemmeno da pensare al mio Cagliari perché ci ha pensato da solo a togliermi qualsiasi patema e allora penso anche a Sant'Efisio e che un giorno sarebbe bello portarci anche i figli. Magari loro non si annoierebbero nemmeno e io nel frattempo avrei studiato e saprei riconoscere alla perfezione i costumi in sfilata. Uno per uno. E nel resto del mondo e pure in Sardegna, soprattutto in Sardegna dove il lavoro sembra essersi estinto da tempo, non ci sarebbe più bisogno di festeggiare il I maggio perché tutti hanno un lavoro e tutti se ne sono andati giustamente in vacanza lontano dai palchi, dai comizi dai Nomadi e pure dai Modena City Ramblers (a cui ho sempre preferito i Pogues).
Buon Sant'Efisio e I maggio a tutte le persone oneste e di buona volontà.

martedì, marzo 17, 2015

L'illusione della terraferma. Quasi una tavola finita.

Cominciamo a tirare le somme. Dopo tanto lavoro è tempo di mostrare qualcosa di finito o di quasi finito. Niente di meglio che una tavola, ancora priva del lettering con il testo, ma abbastanza definita. C'è molta terra, la mia idea di Sardegna e di Sulcis molto immaginario e soprattutto ricordato quando da bambino lo attraversavo in treno con mia madre per andare a Iglesias dove insegnava alle scuole di Campo Romano, il villaggio di minatori. Me lo ricordo così il Sulcis, un posto dal nome evocativo, che sembra lontano e denso di storie. Per farlo ho usato la grafite, lo sfumino, tanta china, i colori liquidi e poi le rifiniture preziose di Ilio Leo che hanno reso tutto più omogeneo e caldo. Caldo come la terra, anche quella che scende nelle viscere e che diventa miniera. Perché L'illusione della terraferma è anche storia di miniera e di minatori.

lunedì, marzo 16, 2015

Il migliore amico del koala

Il più delle volte sono i bambini ad andare in giro con i peluche. Ce ne sono tanti davvero bellissimi, c'è un negozio sulla 5th Avenue, vicino a Central Park, che ne ha così tanti e tutti così fantastici da riempire l'intero negozio a più piani. In quel paradiso dei peluche in un giorno di pioggia avevo perso moglie e figlio inghiottiti dalla folla prenatalizia. Non è che invece mi ricordi di peluche che se ne vadano in giro stingendosi tra le braccia o trascinandoselo dietro un bambino. Romeo, che è un bambino, è anche eccezionalmente il migliore amico del suo peluche, un koala fornito di papillon.


sabato, marzo 14, 2015

Koala e Romeo.
Prove tecniche di trasmissione 01

Koala l'avevamo inventato da bambini mio fratello e io. Era molto aristocratico, molto british che nel tempo passa da una fase di grande fervore religiose in cui si dichiarava piissimo a una successiva dove si lasciava andare alle passioni estemporanee delle clienti che si fermavano alla sua pompa di benzina, visto Koala faceva il benzinaio.
Romeo invece non ride e questo vi basti.
Romeo nel mondo di Koala è il suo migliore amico immaginario.
Koala nel mondo di Romeo è un peluche che gli ha regalato la signora Dina di cui parleremo un'altra volta.
La signora Dina spera di essere rapita da un pilota di un jet da caccia americano, ma anche inglese. L'importante è che sia alto, con i capelli e romantico come lei.

sabato, marzo 07, 2015


Gli occhi grandi si inseguono sempre.

Sull'autobus affollato che va verso il grattacielo di periferia due ragazzine del Nord Africa ridacchiano. Sono giovani, andranno alle superiori. Una ha il fazzoletto che le nasconde i capelli, l'altra no. Occhi intensi scuri e accento bolognese. Parlano fitto fitto delle cose che parlano le ragazze quando scoprono il mondo. C'è tutto quell'entusiasmo per la vita che anche quando sale sopra le righe è un piacer ascoltare. Ridono e le risale fanno sempre bene all'anima, specie quando è incarognita come ci si incarognisce sugli autobus. Parlano di ragazzi, ne parlano male ma si capisce che ne pensano bene. 
Mentre l'autobus si avvicina alla nuova fermata noto due ragazzi che si danno un gran da fare correndo per raggiungerlo. Vengono notati anche dalle ragazzine che dicono cose tipo "non ci posso credere.... hai visto ci hanno seguito, vogliono salire sull'autobus, cosa facciamo? dai scendiamo? ma ce la facciamo ascendere c 'è troppa gente, dai scusi permesso, fateci scendere!" Non è che sono poi tanto convinte di scendere queste ragazzine, anzi dopo un timidissimo tentativo restano al loro posto appese alle maniglie come quasi tutti a bordo. I presunti inseguitori salgono sull'autobus all'ultimo momento. Ansimano, affannano piegati in due dallo sforzo. Poi si tirano su. Hanno loro occhi grandi e dai tratti potrebbero venire dal Bangladesh. Si guardano intorno spaesati, poi si illuminano e si danno di gomito. Si aggiustano i capelli che sono nerissimi e drittissimi cosparsi di gel. Cominciano a darsi un tono a parlottare dandosi un tono. Le ragazzine smettono di ridacchiare e bisbigliano. Si danno un tono anche loro e gli sguardi continuano a incontrarsi. C'è la gioia della gioventù, quella gioia universale senza confini etnici, geografici, culturali. Sono ragazzi che fanno i ragazzi com'è giusto che i ragazzi facciano. 
In qualche modo mi sento partecipo anch'io e proprio non vorrei scendere da quell'autobus diretto al grattacielo di periferia. Vorrei seguire l'evolversi di quegli sguardi, vedere nascere un'amicizia o soltanto un ricordo buffo di una sera d'inverno padano. Avrei voluto filmare tutto e poi caricare il video su you tube come un esempio di quanto sia bella la vita con una dedica particolare a tutti quegli imbecilli invasati che imperversano nel mondo e sul web che vorrebbero invece un altro mondo decisamente più triste, senza sorrisi e soprattutto senza gioia.

sabato, febbraio 07, 2015

Stefana ha i capelli rossi

Mi sono appena arrivate delle nuove penne giapponesi progettati appositamente per l'inchiostrazione. La curiosità di provarle su diversi tipi di carta, oltre che necessità professionale, è soprattutto momento ludico e di esploarazione. E allora si deisgna a caso, quello che nemmeno ti passa per la mente. Frammenti di volti, pezzi di case, alberi, un commissario Marmo. Poi arriva lei in un altro ritaglio di cartoncino liscio, che per la cronaca è la superficie dove queste penne giapponesi si esprimono al meglio, e prnde forma quasi subito. Da sola. Mentre disegnavo i capelli sapevo già che Marmo l'avrebbe incontrata durante la guerra di Spagna. Lavora in un bordello con poche illusioni sulla vita e sul futuro. Avrebbero parlato per un'intera notte e lei il giorno dopo forse avrebbe cambiato colore ai capelli abbandonando quello stupido rosso fiamma che ostentava come un marchio ineluttabile di ciò che era. Mi sono avventurato con le ecoline rosso scarlatto per testare al tenuta impermeabile dell'inchiostro, che funziona bene, e al rosso ho aggiunto un po' di nero a pennello. Quando sono passato alle rifiniture a pastello mi è venuto in mente anche il nome di questa donna nemmeno giovanissima. Un nome bizzarro per una donna che avevo incontrato tanti anni fa. Si chiama Stefana. Un nome duro dato da un impiegato dell'anagrafe ubriaco o in vena di scherzi grevi. Poi quasi a scusarsi ha aggiunto Pilar a Stefana. Ma lei, questa falsa rossa di una lontana città dei Paesi baschi massacrati e bombardati sarà per tutti solo Stefana.

martedì, gennaio 27, 2015


Pietro, Marmo e Bonaria

Pietro è un bambino senza padre. Crede che sia partito a combattere nella guerra dìEtiopia e aspetta che ritorni carico di medaglie e storie d'avventura da raccontargli. Sua madre Bonaria non ha avuto il coraggio di dirgli che invece è morto in incidente nella miniera di Serbariu dove lavorava come minatore. Bonaria, vedova silenziosa e austera di una bellezza nascosta ha affittato a pensione una stanza ammobiliata al commissario Marmo che si è affezionato a questo bambino ipercinetico, cresciuto nel mito dell'epopea di conquista e affetto da una sindrome progressiva alla vista, forse un glaucoma. Un giorno non lontano Pietro potrebbe diventare cieco. Ma anche di questo nessuno ha il coraggio di raccontaglierlo.

grafite, feltro e colorex su carta da appunti.